Roma, 29/11/2011

Editoriale Con.Scienze n.1

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A un anno dalla approvazione della Legge di Riforma n. 240 le Università italiane sono ancora lontane dal compimento del suo percorso di attuazione, la maggior parte degli statuti non è stata ancora definitivamente approvata, le nuove strutture organizzative degli atenei sono ancora nella fase di aggregazione, la maggior parte dei decreti attuativi è ancora in bozza. Il ministero e gli atenei non sono stati però inattivi in questo anno. La combinazione delle scelte autonome delle università nei confronti di una gamma di opzioni di assetto e di competenze delle strutture offerte dall’Art. 2 della riforma, i vincoli (soprattutto numerici) molto prescrittivi, le preesistenti normative e soprattutto l’effetto delle decrescenti risorse e il blocco del turn-over favoriscono la formazione di un panorama molto eterogeneo di soluzioni. Gli assetti degli atenei e la loro organizzazione sarà, ci si aspetta, molto varia e diversa da sede a sede.

La Conferenza di Presidi di Scienze sta seguendo con attenzione l’evoluzione delle 48 sedi universitarie italiane dove vi sono corsi di studio e strutture scientifiche impegnate nella didattica delle scienze (nei tre livelli di formazione: laurea, laurea magistrale e dottorato di ricerca), dove si è consolidato da tempo (dagli anni ’80) il ruolo dei dipartimenti nell’organizzazione della ricerca e e nell’offerta di servizi e competenze.

La Conferenza ha visto con favore il progetto di riportare ad una stessa struttura, il nuovo tipo di dipartimento, tutti gli aspetti della vita universitaria (offerta formativa, ruoli e carriere, ricerca, didattica e servizi) superando il dualismo facoltà/dipartimento che caratterizzava l’assetto introdotto dalla Legge 382 del 1980.

I vincoli numerici per la costituzione dei dipartimenti, che la legge sovrappone al dichiarato principio di omogeneità di area disciplinare, stanno portando alla creazione di aggregazioni disciplinari varie, che non ne faciliteranno il confronto e la valutazione. L’opzionalità delle strutture di raccordo e la possibilità di conferire a queste deleghe e competenze proprie dei dipartimenti possono reintrodurre elementi di conflitto o di non chiara attribuzione della responsabilità delle scelte. Tutti siamo comunque chiamati a contribuire a un processo che consenta il massimo di visibilità e trasparenza delle scelte operative. In molte delle sedi, in cui si svolge attività nelle scienze di base e in cui si offrono corsi di studio scientifici, la sostituzione delle Facoltà e dei Dipartimenti preesistenti con le nuove strutture dipartimentali vedrà sedi con una o due strutture soltanto (con diverse aggregazioni tematiche diverse da sede a sede) e altre con tutte le configurazioni sino a cinque-sei dipartimenti che fanno più o meno riferimento alle aree tradizionalmente individuabili: Matematica, Informatica, Fisica, Chimica, Geologia, Biologia. Quest’ultima area presenta poi la più vasta gamma di possibili diversificazioni ed ibridazioni con discipline mediche, farmaceutiche, agrarie, ecc…

Non occorre temere questa diversità, che va tuttavia monitorata e governata, così come va attentamente seguita l’evoluzione dell’offerta formativa, che da un'esplosione apparente di denominazione di corsi di studio nei primi anni del decennio trascorso, sta contraendosi ora pericolosamente. Ciò avviene nel campo scientifico per effetto dei pensionamenti, dell’invecchiamento della popolazione dei docenti, del mancato turn-over, delle difficoltà di accesso dei giovani alle carriere accademiche (come in altri settori della vita produttiva). I corsi di studio – dapprima i più innovativi ed ora anche quelli più tradizionali – si spengono a causa della stretta prescrittività dei requisiti minimi di docenza che , rafforzati dai DM 17 e DM 50 oltre la ragionevolezza, non tengono conto del fatto che – in corsi in genere salubremente poco affollati – le mutuazioni degli insegnamenti di base tra più corsi di laurea, laddove plausibili, dovrebbero essere incoraggiati1. Ridurre il numero dei corsi di studio scientifici nell’offerta complessiva delle sedi non fa bene al Paese, che di cultura scientifica diffusa avrebbe bisogno come di un più elevato patrimonio di competenze scientifiche e tecniche.

L’attenzione dei media nei confronti dell’università è spesso attratta dai malfunzionamenti, quando non si nutre della demagogia e del sensazionalismo scandalistico. L’attività didattica e di ricerca di qualità, i corsi che richiedono impegno intenso ed hanno limitati numeri di studenti, ma garantiscono alto livello della formazione pare non facciano notizia.

Preservare l’osservazione, il monitoraggio e la narrazione dell’università, per la parte che agisce nei campi della scienza e della tecnologia, è per noi cosa essenziale in questa fase di transizione. Con l'obiettivo di completare il processo in atto, ma anche per segnalarne rischi e difficoltà, per non perdere gli elementi di qualità che sono alla base del riconoscimento internazionale dei nostri percorsi formativi, confermato dai successi dei nostri ‘cervelli’ all’estero.

Per questo come Conferenza dei Presidi di Scienze e domani, come conferenza delle Strutture universitarie in ambito scientifico, intendiamo intervenire con frequenza con note, editoriali, punti di vista … nel dibattito pubblico cercando di offrire ai temi descritti l’adeguata visibilità, incoraggiando e sollecitando la discussione con il sostegno di dati attendibili e completi.

Nella rubrica Numeri dell’Università compare come primo esempio un contributo dei Paolo Rossi (preside della Facoltà di Pisa) sull'andamento della composizione per aree del corpo docente e ricercatore (con una tabella allegata) dell’Università Italiana.

1 dicembre 2011.

  1 Si veda la mozione relativa alle mutuazione degli insegnamenti di base della Conferenza del 6 maggio 2010